Imprese

9/12/2022

Comunità energetiche e piccoli Comuni: il modello CEV

Articolo a cura di 
Matteo Scolari

Alberto Soldà, direttore del consorzio CEV, presenta il suo modello operativo sui piccoli Comuni, riportando alcune case histories interessanti.


Il Consorzio

«Il Consorzio CEV raggruppa circa 1.200 Comuni in tutto il territorio nazionale, precisamente in 18 regioni. Nasce nell’ambito dell’energia per poi concentrarsi sulle soluzioni per i Comuni nell’ambito dell’efficientamento energetico. Visitiamo mediamente dai 400 ai 500 Comuni ogni anno per cui abbiamo un osservatorio privilegiato. Le comunità energetiche ci hanno interessato sin da subito: noi abbiamo 226 impianti fotovoltaici di nostra proprietà, posti sui tetti dei nostri soci, da cui prendono l’autoconsumo girando a noi l’incentivo. Abbiamo tre parchi fotovoltaici da un mW, tra l’altro. Da quest’esperienza è nata la convinzione che ai Comuni bisogna dare servizi, non consulenza. L’80% dei nostri soci sono Comuni con meno di cinquemila abitanti. Per andare a parlare di comunità energetiche e tutto ciò che vi gravita attorno, bisogna quindi presentare un progetto concreto».

Attenzione alle realtà “improvvisate”

«I Comuni sono sempre pressati da molte realtà improvvisate che presentano le comunità energetiche. Infatti, dal momento che ora vanno di moda, tutti si sono improvvisati esperti dell’argomento. Abbiamo quindi cercato di portare a terra questo tema perché lo consideriamo interessante, e perché i Comuni vanno aiutati e seguiti. Oggi le comunità energetiche nascono perché abbiamo un problema sulla rete distributiva. Ne è conseguito un problema inevitabile: l’articolo 70, ovvero che gli impianti di grande produzione possono venire staccati occasionalmente, come durante l’estate, a danno dell’investitore».

Il modello CEV

«Per questo le CER sono fondamentali. Quello che ci spaventava erano quelli che io chiamo i “sindaci civetta”: quei sindaci che, dopo la presentazione delle comunità energetiche e delle opportunità di questo strumento, mi rispondono che non hanno i mezzi per gestirle. Da qui nasce il modello CEV, che stiamo esportando un po’ dappertutto. Questo modello deve portare il consorzio nella costituzione e gestione della CER. Il rischio è infatti che le facciamo e rimangano a fare la polvere nell’ufficio tecnico: quindi vogliamo impegnarci noi in prima persona. Abbiamo poi lavorato sulla forma giuridica: le CER così come sono state definite non possono essere, secondo noi, i soggetti che fanno l’investimento. Riportiamo dunque il Comune al centro, ritenendolo il soggetto ideale per fare l’investimento, godendo delle opportunità dei fondi che andranno a nascere».

«Noi abbiamo due associazioni costituite, una in provincia di Rovigo e una nel Padovano, con 18 Comuni che hanno provato i nostri modelli e si preparano a sottoscrivere le associazioni. Abbiamo quindi dei numeri importanti. Nel nostro modello l’amministrazione comunale elegge il presidente dell’associazione e ha il potere di veto sulle delibere che hanno un riscontro economico-finanziario sulla comunità. Durante un incontro con la Corte dei Conti ci era stato proposto di creare una fondazione in partecipazione: abbiamo fatto una prova ma abbiamo visto che non era una soluzione efficiente. Quindi abbiamo realizzato questo modello associativo che dà il potere al Comune di governare l’associazione e ci prendiamo l’impegno di gestire la CER per loro conto per tutta la durata della convenzione, ovvero vent’anni».

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